ALFONSO DI SANZA - SEBASTIANO PASQUINI
Percorrere le strade di un paese ricco di storia, qual’è la città abruzzese di Vasto, significa imbattersi inevitabilmente nei simboli presenti sugli stemmi araldici delle famiglie che alla storia di questa città hanno partecipato in prima persona.
La testimonianza più antica della rappresentazione di uno stemma è presente sulla Torre di Bassano che domina la piazza principale del paese, Piazza Rossetti. La torre presenta una lastra in pietra sulla quale sono riprodotti lo stemma civico e quello aragonese e la data 1498. Prima di esaminare i principali monumenti e le famiglie storiche, conviene soffermarsi un attimo a considerare lo stemma civico.
La rappresentazione più antica di questo stemma è appunto quella già indicata risalente al XV secolo che presenta uno stemma inquartato, unico elemento desumibile poiché l’individuazione degli smalti, non risulta possibile. Esiste anche un’altra incisione su pietra che risale al 1345 ed era posta nella base del campanile di S. Maria Maggiore. Su di essa l’insegna civica era accompagnata dallo stemma di Maria di Durazzo e da quello del Capitolo di S.Maria. Il reperto, dopo varie vicende fu sistemato nel vecchio Museo ed in seguito al suo trasferimento presso la nuova sede di Palazzo d’Avalos, dovrebbe trovarsi oggi in qualche magazzino di quest’ultimo insieme a numerosi altri reperti. Il problema della descrizione dei colori dello stemma di Vasto risulta ulteriormente complicato poiché ne abbiamo due descrizioni diverse: una sulla “Storia di Vasto” del 1841 del Marchesani dove lo stemma viene descritto inquartato d’argento e d’oro, e l’altra del d’Anelli il quale nel suo “Histonium ed il Vasto” lo descrive inquartato d’argento e di rosso, ravvisandone l’origine al periodo longobardo quando Benevento (che ha uno stemma identico) era capoluogo dell’omonimo ducato di cui Vasto era un’importante gastaldia. La tesi del d’Anelli sugli smalti dello stemma civico troverebbe riscontro in una rappresentazione dello stesso su una pianta a volo d’uccello della città del 1793 dove, però, appare inquartato di rosso e d’argento, anziché d’argento e di rosso[1]. Nella foggia descritta dal d’Anelli lo troviamo invece attualmente sul gonfalone e sullo stemma esposto sul Palazzo municipale. Potrebbe quindi essersi trattato di una svista da parte del Marchesani ma stupisce vedere come lo statuto del Comune abbia recepito totalmente tale descrizione tanto che all’art. 2 si legge appunto lo stemma comunale essere inquartato d’argento e d’oro. Per la soluzione del problema non risulta d’aiuto nemmeno l’atto di concessione dello stemma, in quanto non risulta alcuna attribuzione di stemma o di gonfalone al Comune di Vasto. Dalle notizie assunte presso l’Archivio centrale dello Stato, infatti, la pratica relativa allo stemma comunale risulta ferma al 1938, data in cui il Podestà di Istonio, come all’epoca veniva chiamato il Comune di Vasto[2], fece richiesta (31 maggio 1938) di concessione dello stemma e del gonfalone comunale. La richiesta risultò incompleta e pertanto la Presidenza del Consiglio dei Ministri con nota n° 3042.6 in data 14/07/1938 indirizzò al Prefetto della Provincia di Chieti richiesta d’integrazione della domanda da comunicarsi al Podestà di Istonio. Da allora la richiesta non è stata più perfezionata e così Vasto, città insigne per storia e monumenti, risulta priva di una formale concessione di stemma e gonfalone civico.
D’AVALOS
Una delle famiglie maggiormente legate al territorio di Vasto è quella dei d’Avalos, che l’ebbero in feudo dal 1496 con Innico, I Marchese del Vasto, fino al 1806 con Tommaso ultimo feudatario che morì pochi mesi prima che Murat decretasse l’abolizione della feudalità.
I d’Avalos, originari della Spagna, vennero in Italia al seguito di Alfonso I d’Aragona. Si distinsero per valore militare, capacità diplomatica e fedeltà alla Corona, qualità che li portarono a rivestire sempre una posizione preminente nella politica italiana ed europea dell’epoca. Un esempio dello stretto legame che li univa alla Corona fu l’affidamento della carica di Gran Camerario o Camerlengo (Presidente della Camera della Sommaria), carica che fu detenuta ininterrottamente per due secoli dalla famiglia nonostante il succedersi sul trono di varie dinastie.
La residenza della famiglia fu palazzo d’Avalos che rappresenta ancora oggi uno degli esempi più belli di architettura non solo di Vasto ma dell’Abruzzo. Il maniero all’epoca di Innico III ospitò diverse personalità in viaggio per il Regno, come Maria d’Austria, sorella di Filippo IV, che attraversava gli Abruzzi per andare in sposa al re d’Ungheria. Nel 1723 fu testimone di un avvenimento spettacolare, ricordato ancora oggi con una rievocazione storica, il conferimento del Toson d’Oro, per mano del Marchese del Vasto, Cesare Michelangelo d’Avalos, a Fabrizio Colonna, Gran Conestabile del Regno.
L’arma dei d’Avalos era: d’azzurro al castello d’oro, bordato di rosso e d’argento. Così appare sul ritratto di Alfonso III d’Avalos (1502 – 1546) e scolpito sull’architrave di un portone all’interno del cortile del Palazzo. Gli affreschi sulla volta dei locali al pianterreno di Palazzo d’Avalos (attualmente sede del Museo) e sulla volta del “camerino dorato” del piano nobile ci mostrano una versione diversa nella quale lo stemma della famiglia viene inquartato con quello dei d’Aquino. Nel 1442, infatti, Innico I d’Avalos sposò Antonella d’Aquino che nel 1453 ereditò il marchesato di Pescara, feudo che rimarrà in casa d’Avalos dando vita alle due linee dei marchesi del Vasto e di Pescara, destinate, però, a riunirsi nel corso di una generazione. L’arma appare così composta (fig. 1): inquartato: nel 1° e 4° d’azzurro al castello d’oro, bordato di rosso e d’argento (d’Avalos); nel 2° e 3° inquartato: nel 1° e 4° bandato d’oro e di rosso; nel 2° e 3° spaccato di rosso e d’argento al leone dell’uno nell’altro (d’Aquino).
I d’Avalos riuscirono a mantenere sempre una posizione di rilievo nella scena politica italiana ed europea anche grazie alla sottile trama di alleanze matrimoniali che seppero sapientemente tessere con le principali famiglie del Regno. In particolare vanno ricordate le alleanze contratte da Innico II (m. nel 1504) che sposò Laura Sanseverino, Ferrante Francesco (1490 – 1525) che sposò Vittoria Colonna, Alfonso II ( 1502 – 1545) che sposò Maria d’Aragona, Ferrante Francesco (1531 – 1571) che sposò Isabella Gonzaga, Alfonso Felice (1564 – 1593) che sposò Lavinia della Rovere, Diego (m. nel 1697) che sposò Francesca Carafa, Nicola Principe di Troia che sposò Giovanna aracciolo di Avellino, Tommaso (m. nel 1806) che sposò Francesca Caracciolo di Torella ed infine Diego II, figlio di Tommaso che sposò Eleonora Doria Pamphili. Un bell’esempio di stemma marmoreo che propone una versione “completa” con le varie alleanze matrimoniali (fig. 2) lo troviamo esposto sulle porte dell’appartamento marchionale (oggi adibito a pinacoteca). L’arma suddetta presenta, tra le altre, le armi delle famiglie d’Avalos, d’Aquino, d’Aragona, Gonzaga, Sanseverino, Colonna, Doria, Cardona, della Rovere.
Nel
1714, Cesare Michelangelo d’Avalos, per l’appoggio dato alla casa
d’Austria nella guerra di successione al trono di Napoli contro Filippo V di
Spagna, ebbe conferito da Carlo d’Austria, divenuto re con il nome di Carlo
III, il titolo di Principe del Sacro Romano Impero. Oltre al titolo gli fu
riconosciuto anche il diritto di battere moneta ed è proprio sul rovescio di
uno zecchino d’oro (fig. 3) che troviamo questa versione dello stemma: inquartato:
nel 1° d’Avalos; nel 2° d’Aquino; nel 3° d’Aragona; nel 4° di Gonzaga;
sul tutto uno scudetto con l’arma del Sacro Romano Impero. Lo stemma timbrato
con corona da Principe del Sacro Romano Impero e circondato dal collare del
Toson d’Oro.
Tutti
gli stemmi suddetti, presenti a palazzo d’Avalos, con la sola esclusione di
quelli recanti la semplice arma dei d’Avalos e di quello affrescato sulla
volta dei locali del pianoterra, sono circondati dal collare del Toson d’Oro.
Di quest’importante onorificenza vennero insigniti dalla Casa d’Asburgo,
Alfonso marchese del Vasto (1531), Francesco Ferdinando marchese di Pescara
(1555), Alfonso Felice marchese di Pescara (1586), Inigo marchese di Pescara e
Vasto (1605), Ferdinando Francesco marchese di Pescara (1672), Cesare marchese
di Pescara (1700).
CALDORA
Altro importante monumento di Vasto è il castello Caldoresco, che ricorda le vicende e la storia di un’altra grande famiglia di feudatari: i Caldora.
La famiglia Caldora giunse in Italia al seguito di Carlo I d’Angiò. Stabilitasi in Abruzzo ottenne 38 baronie, 16 contadi, il marchesato del Vasto ed il ducato di Bari.
All’inizio del ‘400, Giacomo Caldora era l’erede di una delle famiglie più importanti del regno di Napoli. Fu allievo di Braccio da Montone e, nella battaglia dell’Aquila il 2 giugno 1424, superò il suo maestro sconfiggendolo (Braccio da Montone, morì tre giorni dopo, a causa delle ferite infertegli per vendetta dai suoi nemici perugini). Di spirito fiero ed indipendente, all’apice della carriera, era ormai uno dei padroni del Regno e si dice perfino che avesse intenzione di fondare un triumvirato per spartirselo con altri baroni. Fu creato duca di Bari da Giovanna II d’Angiò. Il suo motto, inciso nella sella del cavallo, era “Coelum coeli Domino, terram autem dedit filiis hominum”. Morì in battaglia nel 1439, mentre assaliva un castello. La storia dei Caldora si intreccia con quella di Vasto quando il Consiglio Decurionale, per salvaguardare la città che da soli 56 anni era riuscita ad ottenere di essere considerata Demanio Regio, decise di assoldare il capitano di ventura, Giacomo Caldora, barone di Castel del Giudice. Giacomo Caldora accettò l’invito, ma appena entrato nelle mura cittadine, usò le sue milizie per proclamarsi signore del Vasto. Possedeva una buona cultura ed accumulò ingenti ricchezze con gli stipendi che alcuni stati italiani gli pagavano, non tanto per essere difesi, quanto per assicurarsi di non dover essere attaccati dalle sue milizie. Non amava i titoli ed apprezzava solo ciò che poteva procurarsi con le proprie capacità.
Nonostante fosse intestatario di numerose baronie, alcune contee e perfino del ducato di Bari, amava firmarsi semplicemente col suo nome, come testimonia la firma apposta sull’atto d’acquisto dell’orto degli Agostiniani in Vasto, datato 8 ottobre 1427: Jacobus Caldora, miles armorum capitaneum. Poco prima del 1439, dette inizio alla ricostruzione del castello del Vasto secondo la nuova tecnica dell’architettura detta ‘a bastioni’. Poco dopo il compimento del suo castello Giacomo Caldora morì per un improvviso infarto a Colle Sannita. Il re Renato d’Angiò, confermò al figlio Antonio tutti i possedimenti feudali e le cariche ed uffici goduti dall’estinto (fra le quali quelle di Gran Connestabile e Viceré). In seguito alla vittoria di Alfonso d’Aragona sugli angioini, Antonio Caldora volle sfidarlo apertamente per riconquistare il regno. Fu sconfitto ma gli fu consentito di conservare alcuni feudi tra cui la contea di Monteodorisio. Con la sconfitta di Antonio Caldora, Vasto tornò, per la seconda volta, al regio Demanio. Tale situazione durò per poco tempo poiché solo due anni dopo, Alfonso d’Aragona dette il territorio ad Innico di Guevara. Con la morte del re nel 1458, i maggiori baroni napoletani si opposero al figlio illegittimo Ferdinando e chiamarono in loro aiuto Giovanni d’Angiò, figlio di Renato. Lo sbarco a Napoli del 1458, calamitò i maggiori baroni, fra cui Antonio Caldora in aiuto dell’angioino e Ferdinando battuto a Sarno riuscì a fatica e con appena venti cavalieri a riparare a Napoli. A Vasto, nello stesso periodo si trovavano Innico di Guevara, due fratelli d’Avalos, suoi parenti, e un buon numero di cavalieri. Tutti accorsero in aiuto del re Ferdinando, lasciando senza difesa la città. Ne approfittò Antonio Caldora che nel 1463 da Monteodorisio piombò su Vasto, conquistandola. Ferdinando aveva nel frattempo recuperato forze e territori e decise così di porre termine una volta per tutte alle ostilità con il Caldora. Pertanto nell’ottobre del 1464, giunse a Vasto con un forte esercito. Antonio Caldora, si era già rifugiato nella rocca di Civitaluparella, ma aveva lasciato nel castello di Vasto i migliori artiglieri ed i più fedeli veterani, tutti al comando del valoroso Raniero di Lagny, fratello della sua seconda moglie. Durante l’assedio venne fatta grande strage tra le file del re aragonese. Tutti gli attacchi furono inutili, cosicché l’assedio fu allentato e l’esercito si limitò a circondare i territori attorno a Vasto per impedire che rifornimenti potessero giungere al castello. Antonio Caldora, lasciato il rifugio di Civitaluparella, riuscì a tornare di nascosto al suo castello. Lo scacco dell’assedio fu superato da una rivolta cittadina contro il Caldora, ed il popolo dopo averlo catturato, aprì le porte della città all’esercito aragonese. Per intercessione del duca di Milano, Francesco Sforza, al Caldora fu attribuita una pensione, ma fu condannato a non muoversi da Napoli. Non potendo tollerare tale situazione fuggì via mare. Morì qualche tempo dopo a Jesi in casa di un armigero veterano di suo padre. Vasto tornò alla condizione demaniale che durò fino al 1471 anno in cui re Ferdinando proclamò marchese del Vasto Pietro di Guevara, succeduto al padre Innico. Nel 1485, per il reato di fellonia, gli furono tolti tutti i feudi e Vasto tornò ancora una volta al Regio Demanio. Nel 1496, Ferdinando II, infeudò Vasto a Rodrigo d’Avalos e, a causa della prematura morte di questi, al fratello Innico II.
Nessuna testimonianza resta a Vasto dello stemma dei Caldora che era: inquartato d’oro e d’azzurro. L’unica fonte era rappresentata dallo stemma scolpito sul portone della fabbrica originaria del palazzo che in seguito sarebbe diventato palazzo d’Avalos. Purtroppo, però esso andò perduto quando i de Guevara, nuovi feudatari del Vasto dopo i Caldora, lo fecero scalpellare per sostituirlo con il proprio.
Rami della famiglia Caldora passarono a Narni ed a Mondovì in Piemonte. Ai Caldora di Mondovì appartenevano Stefano governatore di Castelsardo, Carlo comandante della cittadella di Torino e Michele maggior comandante la cittadella di Mondovì. Essi si distinsero particolarmente nella seconda metà del XVIII secolo nella guerra contro i francesi e gli spagnoli. In particolare Carlo e Michele Caldora parteciparono alla battaglia contro i francesi al colle dell’Assietta ed ottennero dal re di Sardegna, Carlo Emanuele III l’ordine Mauriziano. Avevano per stemma: spaccato d’oro e d’azzurro addentellato di quattro pezzi del primo su cinque del secondo; motto nec nil, nec nimium. Per non far estinguere questo ramo i titoli passarono alla famiglia Toesca (Toesca-Caldora). Un altro ramo passò nel napoletano ed in Calabria.
ALTRE FAMIGLIE NOBILI VASTESI
Da un atto notorio del 1724 risulta che su una popolazione di 6000 abitanti, Vasto contava fra i suoi cittadini residenti ben 4 conti, 5 baroni, 100 famiglie che vivevano di rendita, 13 dottori in legge, 6 in medicina, 7 notai regi ed apostolici, 8 conventi di religiosi, un collegio di clerici insegnanti, e 60 preti officianti: ciò spiega l’importanza della nobiltà vastese e soprattutto la ricchezza stemmaria della cittadina.
Tra le famiglie nobili o notabili vastesi da ricordare citiamo: gli Amblingh, i Bassano, i Caprioli, i Cardone, i Genova, i Ricci, i Rulli, gli Spataro e i Tambelli.
Stemma:
Inquartato: nel 1 e nel 4 d’azzurro alla cicogna passante armata e
imbeccata di rosso tenente col becco un serpente, al terrazzo di verde; nel 2 e
3 d’oro a due destrocheri d’argento armati impugnanti una freccia di nero.
Sul tutto: d’argento all’aquila rossa spiegata.
Guglielmo, figlio di Giovan Guglielmo Amblingh e di Barbara Svibrug, nacque a Graz in Stiria (Austria) circa nel 1679 e da qui nel 1707 insieme alla moglie Anna Maria Bruswin venne nel Vasto al seguito di Don Cesare d’Avalos, profugo a Vienna dal 1700. Per i suoi meriti fu creato barone di S. Ancino (feudo rustico in agro di Casalbordino), comandante in capo delle truppe baronali di casa d’Avalos nel 1723 e Vice Conte di Monteodorisio, ossia governatore di quel feudo dei d’Avalos tanto grande da comprendere tredici comuni.
Guglielmo si stabilì nel Vasto e sposò in terze nozze, nel 1728, Teodora De Cicco, figlia del Conte Francesco De Cicco e di Geronima De Sanctis.
Morì nel Vasto e fu sepolto a Santa Maria Maggiore nel 1760.
I suoi discendenti vissero nella sua stessa città per altro quattro generazioni.
Gli Amblingh, imparentatisi con i Bacchetta, i Vallone e gli Artese, si estinsero per l’epidemia di tifo dell’agosto-settembre 1817.
Stemma: d’azzurro
alla testa di moro con turbante d’argento sormontato da un crescente montante
dello stesso.
Originari di Atessa vennero nel Vasto nella seconda metà del 1400 ed abitarono nelle case attigue all’attuale torre di Bassano. Primo personaggio a noi noto è quel Giovanni che, mentre era canonico del capitolo della Cattedrale di Chieti, fu chiamato all’arcipretato di Lanciano dal clero e dall’Università di quella terra nell’anno 1501. Giovan Carlo, facoltoso possessore della Villa Aragona, decurione nel 1591, mastrogiurato nel 1597, morì nel 1615. Carlo e Giovan Bernardino, probabilmente fratelli
con la loro autorità ed influenza riuscirono a tenere tranquille le popolazioni di Vasto e Pescara nei concitati giorni della rivoluzione napoletana promossa da Masaniello.
Per tale comportamento nel 1649 il titolo della famiglia fu elevato da barone a marchese.
funzione nella chiesa di S. Maria Maggiore. Si laureò in legge a Napoli e a 17 anni scrisse il trattato de “Successione ab intestato
Commentaria”. Per essere morto a 21 anni l’opera, di notevole valore giuridico, fu pubblicata postuma dal padre nel 1597.
Stemma. dei
rosso atre cardi d’oro gambuti e fogliati di verde.
Flaminio, originario di Atessa, si stabilì nel Vasto nel 1623, avendo sposata la vastese Silvia D’Ambrosio; il nipote Domenico (1670-1743) dottore in leggi, comprò il feudo di Castelbottaccio in Molise nel 1696, sposò Anna Bassano dei marchesi di Tufillo, ed esercitò un larvato dominio nella città del Vasto durante l’esilio del Marchese Don Cesare d’Avalos (1700-1707).
Francesco (1735-1810), figlio di Nicola secondo barone, sposò a Napoli Olimpia Frangipane dei duchi di Mirabelllo .
Vincenzo, 1 sindaco nel 1797 e mastrogiurato nel 1804, ebbe la casa saccheggiata dai Sanfedisti durante i moti rivoluzionari vastesi del 1799 subendo un danno di 6000 ducati.
Luigi (1789-1855) quarto barone di Castelbottaccio, visse sempre nel Vasto ed era di sentimenti liberali; carbonaro dal 1820, si fece molto onore nella battaglia di Rieti e fu sempre considerato il capo dei patrioti vastesi. Nel 1849, nel Parlamento Napoletano protestò con vigore contro l’annullamento della Costituzione precedentemente promulgata da Ferdinando II. Come sindaco di Vasto, nel 1840 iniziò la costruzione del nuovo cimitero in contrada Catello, nel quale, vittima dell’epidemia di colera del 1855 fu sepolto.
Genova
Stemma. d’argento
alla croce latina di rosso, accostata da due stelle d’oro di otto raggi,
tenuta da due leoni d’oro affrontati e controrampanti poggiati su di un monte
di tre cime all’italiana di verde.
Di antica origine vastese la famiglia fu annoverata tra i nobili dal Palma, dal Pacichelli e dal Lumaga. Giacinto, decurione del Vasto nel 1650, comprò il feudo nobile di Salle e ne ebbe l’intestazione legale il 28/09/1646. La famiglia dette alla città numerosi decurioni e i seguenti mastrogiurati: Niccolò nel 1665, Matteo nel 1763 Berardino nel 1802 e Giuseppe nel 1828. Il barone Pasquale (1762-1852), ultimo intestatario del feudo di Salle, durante i moti rivoluzionari del 1799 fu eletto dai Sanfedisti Quadrunviro
Generale della Città. Francesco (1839-1862), valente scultore allievo prediletto del Solari, ebbe il primo premio nell’esposizione del 1858 a Napoli e del 1859 a Firenze. Questa famiglia decadde lentamente nel corso dell’800. Ad un ramo cadetto dei Genova però pervennero le ingenti sostanze di Casa Rulli, in seguito al matrimonio tra Ludovico con Giovanna di Giuseppantonio Rulli celebrato il 20 gennaio 1828. Tale ramo ottenne dalla Consulta Araldica il titolo di nobile col predicato di Salle.
Ricci
Stemma. d’azzurro
a due fasce ondate d’oro, al capo d’oro dell’aquila nascente dal volo
spiegato di nero; al capo abbassato d’oro al riccio di nero.
E’ forse la famiglia più importante della città e che vanta ben 8 mastrogiurati tra il 1559 e il 1816.
Annibale fu governatore di Vigevano, di Lodi e giudice detto del Gallo in Milano; a Roma fu segretario della Consulta e Commissario Generale dello Stato Pontificio nel 1591.
Leonello fu vicario generale della Badia di San Giovanni in Venere e come arciprete del Vasto iniziò la tenuta dei registri anagrafici senza i quali non sarebbe stato possibile uno studio sulla nobiltà vastese.
Carlo nel 1619 fu Cavaliere di Giustizia Gerosolimitano e morì a Malta verso il 1634.
Luigi (1842-1915), garibaldino a 18 anni, combattè a Capua, ad Aspromonte ed a Bezzecca. Nel 1870 accorse alla difesa di Parigi, ottenendo la promozione a luogotenente colonnello. Dopo la capitolazione di Sedan emigrò a Londra ove guadagnò la cattedra del King’s College già tenuta da Gabriele Rossetti.
Rulli
Stemma:
inquartato: nel 1 e nel 4 di rosso alla ruota d’oro di 6 raggi; nel 2 e nel
3 scaccato di 24 pezzi di nero e d’argento.
Luigi Rulli nato nel 1751 da Nicola e Carmela Ciavarro, venne da Salcito e fu il primo a stabilirsi nel Vasto poco prima del 1781. Il figlio Giuseppe Antonio nato nel 1791, fu decurione nel 1824 e sindaco nel 1838. Ricoprì inoltre la carica di Console del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda. Nel 1825 aveva pubblicato un canto funebre per la morte di Re Ferdinando I di Borbone. Dopo il 1841 affidò all’architetto vastese Nicola Maria Pietrocola la costruzione del suo palazzo sul sito dell’ex
convento dei Domenicani e la ricostruzione della Chiesa che volle intitolata a San Filomena. Morì a Napoli il 31 dicembre 1864; non ebbe figli maschi. Le due femmine Giovanna e Giacinta sposarono rispettivamente, Ludovico dei Baroni Genova nel 1828 e il barone Tito Sabelli nel 1831. Sulla discendenza di entrambe pesò un triste destino: i nove figli di Giacinta si spenserò tutti in giovane età o morirono malati di mente; l’unico nipote di Giovanna, Ludovico Genova morì tubercolotico a 26 anni senza lasciare discendenza.
La quasi totalità dell’ingente patrimonio è stata destinata all’istituzione di un orfanotrofio femminile.
Spataro
Stemma:
di rosso a due spade d’oro poste in croce di S. Andrea, con
l’impugnatura in alto accostate da due colonne d’argento.
Francesco, dottore in legge, di famiglia cosentina, ma residente a Forio d’Ischia, si trasferì nel Vasto nel 1632, in seguito al suo matrimonio con la N.D. vastese Faustina Canaccio, dalla quale ebbe in dote 2000 ducati, nonchè la testa marmorea del monumento che gl’istoniesi eressero al concittadino Lucio Valerio Pudente.
Personaggio di particolare importanza è l’avvocato Giuseppe, nato nel 1897 da Alfonso e da Anna Iasci; in collaborazione di D. Luigi Sturzo fondò il Partito popolare Italiano e successivamente della Democrazia Cristiana, nella corrente di Alcide De Gasperi. Fu più volte ministro e anche Vicepresidente del Senato.
Tambelli.
Stemma: troncato:
nel 1 d’argento ai due colombi di rosso affrontati; nel 2 d’azzurro a tre
sbarre d’oro. Alla divisa di nero.
L’architetto milanese Paolo (1689-1749) si stabilì nel Vasto, insieme alla moglie Antonia Ferrari, in conseguenza dell’incremento edilizio promosso da Don Cesare d’Avalos. Il nipote Giuseppe, dottore in legge, fu barone del feudo rustico di San Martino (in agro di Villalfonsina) e mastrogiurato del Vasto nel 1789/90. La famiglia si estinse con Alfonso, indigente e mentecatto, deceduto nel 1912 all’Ospizio di S. Onofrio e nelle femmine con la cugina Ermelinda(figlia di Francesco e Mariangela dei Baroni di Genova), che morì settantasettenne nel 1932.
BIBLIOGRAFIA:
Luigi Marchesani, Storia di Vasto, 1841;
Vitorio D’Anelli, Histonium ed il Vasto, Edizioni Cannarsa, Vasto
Il Palazzo d’Avalos, in Vasto e i suoi musei, Carsa Edizioni;
Gennaro Angiolino in “Immagini di Vasto” Vastophil 1984, La famiglia Caldora, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato;
Crollalanza, Enciclopedia araldico-cavalleresca, Forni editore;
Crollalanza, Dizionario storico blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane;
Vittorio D’Anelli, Ricerche di araldica vastese, 1973;
Paolo Calvano e Renata d’Ardes, Archivi Vastesi, 2003, Vasto.
[1] Lo stesso autore, nell’opera citata, denuncia il fenomeno dell’inversione dei colori nella loro giusta posizione attribuendolo ad “ignoranza delle norme araldiche”.
[2] Il nucleo più antico della città, che la leggenda vuole fondata da Diomede nel XII secolo a. C. , risulta essere di epoca preromana. Passata sotto il controllo di Roma ne divenne Municipio, prerogativa che conservò fino all’epoca traianea, col nome di Histonium Nel 589 fu incorporata nel Ducato Longobardo di Benevento e nel l’802 fu rasa al suolo dagli eserciti franchi del capitano Aimone di Dordona il quale, però, affascinato dalla bellezza del luogo, ne ordinò l’immediata ricostruzione. Il centro venne pertanto chiamato Guasto Aimone in omaggio al promotore della sua rinascita. Successivamente dalla deformazione del nome primitivo nacque il nome di Vasto che ha conservato fino ad oggi tranne la breve pausa del periodo fascista che gli rinnovò il nome di Istonio.