Articolo pubblicato sul sito www.casadalena.it il 21 gennaio 2015
Don Antonio, studente
Racconto inedito su D. Antonio d'Alena di D. Marco Carlini.
D. Antonio d'Alena (1805-1892) in un disegno di Roberto di Jullo.
Antonio frequentava con diligenza e profitto le scuole e, per quanto fosse intollerante, si assoggettò alla disciplina del collegio vescovile di Isernia.
Aveva conosciuta una bella ragazza e si erano compresi. L'intraprendente collegiale non tardò a trovare il modo di evadere opportunamente dalla "clausura" per incontrarsi clandestinamente con l'avvenente ragazza in ore stabilite, eludendo la severa vigilanza dell'Istitutore e terrorizzando i camerata. Ma non poteva andargli sempre così liscia. La riservatezza, il segreto dei compagni, furono sopraffatti dall'invidia: la dolce avventura di Antonio, venne a conoscenza del ringhioso Istitutore. Come spesso avviene, questi ne informò il Rettore del collegio il quale non tardò a far chiamare l'audace alunno. Ma questi sapeva bene il fatto suo e, appena l'Istitutore gli fu vicino, si ebbe la sua naturale reazione. Alla richiesta di spiegazioni, Antonio si avventò sul suo delatore e lo caricò di pugni, dando sfogo al suo risentimento. Questo fu il preludio al malcapitato rivestitosi della sua autorità! Al sopraggiungere degli studenti in aiuto del loro superiore, il ribelle non si diede per vinto. Corse sul ballatoio della scala esterna, mise la spalla tra i ferri della ringhiera, scardinò il passamano e ne trasse fuori uno di quei ferri verticali, adoperandolo non per difendersi, ma per offendere ancora e maggiormente l'Istitutore che perdeva sangue, e i compagni, i quali trovarono scampo solo nella fuga. Lasciò la sua arma contundente e si diede alla fuga solo quando apparve il Rettore. Nel collegio si rese necessaria l'opera del medico, mentre Antonio, crucciato dal solo pensiero per la sua ragazza, percorse la strada di circunvallazione a ponente della città in gran fretta, fino all'altezza della sorgente dell'acqua solfurea, poi, guardò a lungo la strada percorsa e, non vedendo persona che lo riconoscesse, riprese il suo cammino, risalendo il Macerone. Giunto in alto, in quel luogo sede di briganti, fece il suo piano morale e strategico e riprese a camminare, dirigendosi verso Forli del Sannio; passò il Vandra, pensando che era necessario uscire dall'ombra del bosco della "Fossa del lupo", prima del crepuscolo. Non cercò riposo e proseguì, digiuno, nel pensiero dell'affettuosa madre. Fu lungo e penoso il cammino nel sentiero tortuoso, fra spini, felci e rovi; non si arrivava mai! Le ombre delle piante si facevano sempre più nere; taceva il canto dell'usignolo, del merlo e della capinera, mentre, udiva quello della civetta lontana e quello triste del gufo, lì vicino. Finalmente uscì al largo delle "Sette porte", guardò nel cielo le stelle, ad una ad una quell'intrepido e, seguitando a camminare nella notte buia, sul tappeto dei vasti prati, giunse stanco alla taverna della Valle. Avrebbe voluto prendere un boccone ma, a quell'ora, il grande fabbricato era chiuso. Guardò in alto, mise fuori un sospiro e camminò ancora lungo il tratturo. Il gorgogliare dell'acqua della "peschiera" lo scosse. Si trovava davanti al portone del suo palazzo e, rassegnato, gli cadde il battente dalla mano. La domestica si affacciò alla finestra e, avendolo riconosciuto., corse ad aprire senza far parola. Si richiuse il portone senza rumore e, piano piano, entrarono in cucina ma, non si era ancora seduto, quando entrò il barone in camicia da notte, con una candela in mano e la papalina. si guardarono negli occhi, ed il barone, cono tono accentuato gli chiese: - Le hai avute o le hai date? -
- Le ho date - quegli rispose.
- Bravo! Siedi e mangia - replicò il barone rientrando nella sua camera, col fiocco girante sul berretto vistosamente ricamato.
Chi avrebbe potuto negare che quello non fosse il padre? La madre commossa, stringendogli le ossute braccia, gli restò vicino domandandogli perché fosse giunto a quell'ora, così tardi.
- Sono scappato, mamma, altrimenti le prendevo -
Intanto la baronessa madre, premurosa, gli porgeva un bicchiere di vino dicendo: - Bevilo come aperitivo, sei stanco, ti farà bene -
Antonio, che aveva sete, lo tracannò in un solo fiato.
Il barone che aveva approvata la violenza del figlio, non si era affatto interessato di domandare il come ed il perché dell'accaduto. La signora baronessa, invece, col suo fare dolce, ottenne da quel briccone la promessa che sarebbe tornato in quel collegio o altrove per continuare gli studi.
Dopo qualche giorno, il buon Rettore fece sapere che l'accaduto non era poi stato tanto grave, e che pertanto Antonio sarebbe potuto tornare ad Isernia a frequentare la scuola. Il terribile ragazzo infatti vi tornò a cavallo di un mulo. Fu accolto da tutti con sorrisi di convenienza; anche l'Istitutore fu costretto, suo malgrado, a dargli il bentornato. Ma Antonio non inorgoglì per aver sfidato e vinto tutti. Restò veramente rattristato invece, quando, si avvide che le uscite del vetusto fabbricato erano state solidamente sbarrate!
L'ingresso del palazzo d'Alena a S. Pietro Avellana.